Dopo la straziante tragedia di questo fine settimana relativa alla morte di una ragazza di diciannove anni in una discoteca di Vinci, dobbiamo porci certe domande e alcune possibili risposte.

È del tutto inaccettabile che un luogo di divertimento si trasformi in un tragico momento di morte. Dove stiamo andando? Come è possibile che la convivialità, un momento di gioia condivisa tra amici, soprattutto tra giovani, diventi terreno di distribuzione di strumenti di morte? Cosa stiamo sbagliando?

Ce lo dobbiamo chiedere come società, soprattutto noi adulti, come ex-giovani. Era davvero così diverso quando avevamo vent’anni noi?

I miei ricordi vanno molto lontano, ad una generazione che ha conosciuto l’epidemia di eroinopatia (si moriva di overdose, per risse sotto l’effetto di alcol, in quei tempi nacquero le epidemie di AIDS e di epatite virale per l’uso promiscuo di siringhe). Anche allora ci ponevamo la domanda su cosa c’era di sbagliato in noi!

È vero, l’adolescenza è sempre stata, ieri come oggi, la fase di ricerca dei propri limiti, ricerca il più delle volte legata ai tentativi di mettersi alla prova attraverso il rischio. Ma è altrettanto vero che i messaggi proposti oggigiorno vanno nella continua direzione di superarli quei limiti, in una sorta di orgia di cultura iperperformante, che schiaccia chi soggettivamente ha la sensazione di non farcela: ecco quindi il doping dell’anima!

È una società “dopata” la nostra, mai sobria. Dopata di immagini forti, dopata di ricerca di successo: da quello dei likes, a quello delle migliaia di amicizie virtuali. Successi effimeri, mai corroborati dal confronto, dall’ascolto, dal sentirsi accolti e amati a prescindere. Una società che corre, veloce, aggressiva, rapida, maniacale, che ci fa dimenticare l’importanza stessa di strategie di contenimento dei rischi.

Penso per esempio a chi, preso dal business, fa fatica ad implementare strategie di riduzione dei consumi di bevande alcoliche, non solo nei locali; o alla superficialità legislativa che non ha imposto, ad oggi, l’obbligo dei defibrillatori nelle discoteche (luoghi dove si fanno attività fisiche, spesso più intense che nelle palestre).

Penso che dove c’è mercato, c’è anche la merce, sia legale che illegale, e che su entrambe non ci siano sufficienti controlli. Penso che i luoghi di divertimento dovrebbero cominciare a dotarsi di codici etici di autoregolamento ed avere l’obbligo di formare i propri lavoratori al riconoscimento delle situazioni critiche.

Come uomo, come genitore, come ex-giovane, sono costernato. Straziato dalla notizia. Tutti noi che facciamo politica, invece, dobbiamo sentire la responsabilità di cambiare i paradigmi culturali e sociali, e proporre soluzioni sobrie ad una società “dopata” nell’anima”.