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IL MIO/NOSTRO 25 APRILE 2018 SULLE TRACCE DEI PARTIGIANI E DI DON MILANI AL MONTE GIOVI

Mi ha colpito leggere questa mattina su un articolo di stampa che sia stato dato risalto all’assenza di esponenti M5S alle iniziative ufficiali fiorentine di commemorazione del 25 aprile, citando il fatto che deputati, consiglieri regionali e comunali, si siano “limitati a fare post su facebook”.

Mi ha colpito perché il mio 25 aprile è stato un percorso di gruppo verso Monte Giovi, sui sentieri dei partigiani e di Don Milani.

Una scelta consapevole perché vivo il 25 aprile meno nella dimensione del festeggiare e più in quella del ricordo di un dolore.

Non si tratta di celebrare una ricorrenza, ma di tenere alta la memoria di chi ci ha consentito di poter agire in libertà e democrazia.

Un ringraziamento quindi itinerante per quei nostri uomini e quelle nostre donne che sui monti decisero di resistere alla barbarie e, da quei monti, scesero a liberare Firenze e l’Italia da una dittatura infame.

Un grazie a quei comandanti partigiani del Monte Giovi e anche a quel parroco, Don Milani, che da quelle pendici ha insegnato a tutti noi i valori lasciati in eredità dalla resistenza.

Forse avrei dovuto comunicare questa mia iniziativa, per aiutare la stampa a svolgere il proprio mestiere.

Spero mi perdonino quei lavoratori della carta stampa, ma noi spesso agiamo col cuore, senza calcoli di visibilità. E le mie anche e i miei piedi oggi ne sono testimoni dopo 13 km di camminata!

VIVA IL 25 APRILE!

Nella giornata del 25 aprile festeggiamo la memoria della Liberazione del nostro paese dal nazifascismo e insieme, inevitabilmente, commemoriamo la scia dei lutti che questa liberazione ha portato con sé.

Da quel primo vagito della nuova Italia, di lì a breve repubblicana, al giorno d’oggi molto è cambiato. La società stessa ha vissuto profonde mutazioni.

Per questo recuperiamo dalla doverosa memoria del 25 aprile lo stimolo per riconoscere le minacce che vorrebbero, sotto nuove vesti, ricreare le condizioni di limitazione della libertà e della democrazia che 73 anni fa furono sconfitte dalla storia.

Allora le dittature avevano esclusiva connotazione politica. Oggi invece assumono la forma più subdola di organizzazioni e dinamiche economiche che hanno come principio unico il profitto e come metodo il piegare o convincere le masse popolari ad inseguirlo, spesso ignorando anche i più basilari diritti umani e l’etica solidale che è perno della convivenza pacifica di ogni civiltà prospera.

Servono sensibilità e sguardo attento per leggere la ruota della storia e comprendere la strada che sta prendendo, per non cadere in pericolose chine come in passato è accaduto. Per questo ci auguriamo che giornate come quella di domani siano sì di memoria ma anche, tramite questa, di monito. Affinché chi vive il nostro presente sappia assicurare a questa Repubblica e al nostro popolo quanto la Costituzione ha promesso: antidoto e terapia per ogni nuovo e vecchio fascismo.

CREAF BUCO NERO DEI MALGOVERNANTI

Il Creaf di Prato è ormai a tutti gli effetti un grande buco nero dei malgovernanti. Pensavamo di averle viste tutte ma niente, pare che la giunta regionale voglia rilanciare ulteriormente, gettando nel buco nero altri 8 milioni dei toscani.

Erano 2,5 milioni a dicembre, oggi leggiamo dai giornali che Ciuoffo, ex assessore proprio del Comune di Prato e oggi assessore regionale, ne vuole rimettere altri 5,5. Ha dichiarato testualmente “Rispetto a qualche anno fa la Regione ha creato una rete dei centri di ricerca. Quindi avere uno spazio in più in Toscana ci sarà d’aiuto. E poi per le nostre casse l’esborso sarà solo di 2,5 milioni, visto che 5,5 ci torneranno indietro come creditori privilegiati“.

Per capire l’assurdo ricordo che la Regione deve ancora avere indietro 11 milioni da Creaf srl – società in fallimento e buco senza fondo dove sono confluiti 22 milioni di contributi pubblici – e al momento sembra disinteressarsi della questione volendo riscattare l’unico bene della società, l’immobile vuoto di Via Galcianese, togliendolo da un’asta pubblica capace di farlo fruttare e restituirci almeno una parte del maltolto.

Non paga la Regione ci vuole mettere più del suo valore reale (7 milioni) buttando nel buco nero altri soldi dei toscani.

Ma perché la giunta regionale è così legata a questo immobile al punto da compiere scelte di tale malgoverno?

E poi con tutti gli immobili pubblici in patrimonio della regione o di sue partecipate, perché dobbiamo buttare altri soldi proprio in quello lì di Via Galcianese?

Avevamo ipotizzato che fosse perché tra i fondi pubblici arrivati al CREAF srl tramite l’istituzione ce ne fossero anche di derivazione UE e la Regione stia cercando drammaticamente di salvare le forme prima che qualcuno a Bruxelles si accorga del fiasco e ce li chieda indietro.

Questo spiegherebbe perché Ciuoffo continua a mettere la faccia in questo fantomatico “Centro per la ricerca e l’alta formazione a servizio del distretto tessile pratese”. Un buco nero che ha già bruciato 22 milioni dei nostri soldi (andati a chi?) e causato l’avviso di garanzia all’attuale Presidente della Provincia di Prato, il sindaco Matteo Biffoni, presidente per giunta di ANCI.

Per capirne di più ho presentato l’ennesima interrogazione a riguardo. La giunta regionale ci dovrà dire con chiarezza a che punto sono le trattative della Regione per acquistare questo immobile e se nel frattempo ci sono novità sulla sua destinazione d’uso. Perché, bene chiarirlo, ad oggi di questo Centri di Ricerca non ci risulta niente di concreto, oltre l’immobile dove dovrebbe, da decenni, nascere e fiorire.

KME, SCELTA DI RESPONSABILITA’

Da portavoce abbiamo portato in aula un atto di indirizzo che dicesse no al progetto pirogassificatore KME a Fornaci di Barga, alla luce di quanto emerso nel confronto importante avvenuto tra rappresentante di KME ed esperti del recupero di materia invitati da La Libellula (il prof. Annibale Biggeri, il prof. Paul Connet e Rossano Ercolini).

In Consiglio regionale il Partito Democratico ha annunciato di voler bocciare la nostra proposta, puntando sulla propria proposta e per senso di responsabilità l’abbiamo sottoscritta e poi approvata.

La mozione approvata riguarda il piano di rilancio dello stabilimento di Fornaci di Barga, annunciato da KME Italy che comprende il progetto di auto-produzione di energia elettrica. Con l’atto approvato il Consiglio regionale ha impegnato la giunta ad attivarsi “una volta presentato il piano di rilancio annunciato dalla Kme Spa”, che dovrebbe comprendere “eventualmente la realizzazione di un impianto di autoproduzione di energia elettrica” – per avviare “le necessarie verifiche ambientali e sanitarie, ai fini di una corretta valutazione circa l’inserimento di nuovi impianti di produzione elettrica sul territorio”.

La valutazione dovrà tenere in conto “della loro compatibilità, della conformazione geografica del territorio, della tutela della qualità dell’aria e della salute della popolazione, elemento principale di valutazione primario a qualsiasi scelta, che deve comunque essere tesa a garantire un miglioramento complessivo della qualità ambientale del territorio”.

L’atto impegna la Giunta anche a “informare il Consiglio regionale, ed in particolare la commissione competente in merito all’ipotesi di eventuali accordi”, riguardanti lo stabilimento e il distretto cartario di Lucca, “nonché in merito a tutte le iniziative e progetti in tema di economia circolare attualmente in discussione, riguardanti il trattamento e il recupero degli scarti di lavorazione dell’industria cartaria”.

L’azienda, come riportato nel testo della mozione, “avrebbe reso nota la volontà di un piano di rilancio dello stabilimento che preveda anche l’abbattimento dei costi energetici dell’impianto, attraverso la realizzazione di un pirogassificatore”, un impianto che “permette di produrre energia rinnovabile utilizzando materiale organico, in questo caso la scelta è quella di produrre energia da scarti di lavorazione, in particolare sfruttando la vicinanza del distretto delle cartiere e la possibilità di utilizzare scarti di lavorazione di tale produzione”.

Ricordo che in KME lavorano circa 600 dipendenti. Ma non devono essere una scusa per non sostenere impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile.

La nostra è stata una scelta di responsabilità comunque anche nei loro riguardi.

NO AI LICENZIAMENTI AL PORTO TURISTICO “LA MARINA DI SCARLINO”

Foto di IlGiunco.net

Durante il periodo pre-pasquale, con tempismo e dinamiche senz’altro poco opportune, è arrivata la notizia del licenziamento in tronco di 4 lavoratori del Porto Turistico Marina di Scarlino. Gli stessi sindaci di Scarlino e Follonica hanno criticato duramente questa decisione, soprattutto il mancato preavviso dell’atto, puntando il dito contro i vertici del porto, responsabili, a loro dire, di “scelte scriteriate“.

In conseguenza della situazione i lavoratori del porto hanno avviato una protesta ad oltranza con un presidio e la Regione ha avviato la richiesta di un tavolo di confronto con l’azienda. Il Picchetto dei lavoratori si è tenuto proprio il giorno di Pasqua.

Per capire cosa sta succedendo serve un po’ di descrizione del contesto: il progetto del Porto di Scarlino ha goduto infatti di rilevanti finanziamenti pubblici a fondo perduto derivanti da un programma di investimenti del Ministero del Tesoro, del Bilancio, e della Programmazione Economica. E questi soldi arrivarono soprattutto per lo sviluppo territoriale collegato all’occupazione.

A questo punto la Nautor Group Holding di Leonardo Ferragamo, concessionaria tramite controllate per altri trent’anni, deve essere messa nelle condizioni di rivedere la scelta di questi licenziamenti.

Sappiamo che lunedì era fissato il primo incontro del tavolo tecnico tra Regione, sindaci di Scarlino e Follonica e rappresentanti sindacali cui era stato invitato un rappresentante dell’azienda. Ma non si è presentato.

Oggi pare in corso una nuova riunione del tavolo. Noi vogliamo chiarezza e trasparenza a riguardo.

Per questo ho avviato al protocollo una mozione affinché il Consiglio regionale esprima piena solidarietà nei confronti dei dipendenti improvvisamente licenziati e soprattutto impegni la Giunta regionale a riferire in Commissione gli esiti del tavolo di confronto e ad ad attivare tutte le azioni necessarie al fine di salvaguardare l’occupazione per chi è adibito allo svolgimento delle funzioni legate alla portualità nel Porto di Scarlino.

Di questi tempi ogni posto di lavoro salvato tramite il lavoro istituzionale è una vittoria sociale di grande importanza.

ANTIMAFIA, PRIMO RISULTATO RAGGIUNTO!

L’ultimo Consiglio regionale ha segnato una piccola svolta. All’unanimità l’aula ha approvato il nostro atto sul contrasto alla criminalità organizzata in Toscana.

Grazie a questa mozione il Consiglio regionale potenzierà gli strumenti di controllo, rafforzerà l’Osservatorio sulla legalità e ha impegnato la Giunta regionale a compiere “azioni e politiche mirate alla concreta ed efficace lotta alla mafia e alla criminalità organizzata”.

Siamo soddisfatti dell’aver ottenuto dal Consiglio la presa d’atto di un problema da noi più volte sollevato: la presenza consolidata della criminalità organizzata nella nostra regione (recenti studi censiscono ben 35 organizzazioni di stampo mafioso con sede operativa in Toscana, tra le quali la mafia russa, quella cinese, la ‘Ndrangheta, la Camorra e Cosa nostra) e soprattutto la necessità che la Regione Toscana, come istituzione, si prenda carico della questione in ogni modo.

Chi la dura la vince.

E anche questa volta i cittadini onesti, attraverso il Movimento 5 Stelle, hanno vinto.

SALVIAMO LE TERME TUTTI INSIEME!

Come sapete ci siamo spesi molto per salvare le tre società termali toscane (Montecatini, Chianciano e Casciana). Ogni volta la maggioranza in consiglio regionale (PD, LeU) ci ha bocciato le nostre proposte e il centrodestra è rimasto sempre ambiguo a riguardo.

Siccome non ci arrendiamo e pensiamo che le Terme siano un patrimonio storico, culturale ed economico di natura strategica per la regione più termale d’Italia abbiamo elaborato una proposta per tentare l’ultima carta.

In pratica abbiamo detto “visto che voi della maggioranza continuate a insistere che le Terme non sono strategiche, almeno ammetterete che è strategico per la Toscana il suo patrimonio immobiliare?”. Dovete sapere che nel piano di dismissione votato da questa maggioranza di 23 società partecipate regionali le uniche che hanno deciso di dismettere sono le tre società termali e queste sono soprattutto al momento proprietarie di immobili. Il paradosso è che la stessa giunta ha scritto nero su bianco che pensa di non riuscire a vendere completamente questo patrimonio, quindi di non incassare niente dalla dismissione, e quindi alla fine di riprendersi da queste società proprio quegli immobili termali invenduti e svalutati che poi non saprebbe come gestire.

Per questo abbiamo proposto di unire le forze e creare una società termale immobiliare unica, Terme di Toscana spa, in grado di realizzare un piano di rilancio serio dove per alcune realtà, quale Montecatini, è probabile che la gestione del servizio sia data a privati (con capacità vera in termini manageriali) mentre per altre, come Chianciano, possa perpetuarsi l’attuale formula comunque vincente.

Avevo portato in aula questa proposta e la maggioranza la stava per bocciare senza interesse. Allora ho chiesto il rinvio in Commissione e tramite i nostri portavoce e attivisti di Montecatini, Chianciano e Casciana, abbiamo ideato un percorso di mobilitazione delle comunità di queste città termali, intorno alla nostra proposta.

Ogni gruppo si sta organizzando con grande serietà e autonomia. Faremo incontri di approfondimento, raccolte firme, iniziative istituzionali.

Le proveremo tutte per salvare le Terme. E ci riusciremo solo se staremo tutti insieme.

PIGNONE, ORGOGLIO DA PRESERVARE

Il 15 novembre scorso chiesi pubblicamente attenzione su quanto stava accadendo oltreoceano a General Electric. Il mio appello andò deserto, centrosinistra e centrodestra si tennero in silenzio in Consiglio regionale e l’unico fatto collegato fu l’addendum all’accordo di programma col quale il Presidente della Regione e il Ministero dello Sviluppo Economico hanno finanziato con altri 65milioni di fondi pubblici il gruppo Nuovo Pignone (oggi Baker Hughes, a GE company) per un investimento complessivo verso una società privata tale da risultare, ci sembra, secondo solo a quello Lamborghini

Da allora abbiamo avviato insieme a Gabriele Bianchi un percorso di analisi della situazione, tramite studi e incontri, al cui termine abbiamo sentito il dovere di presentare un’interrogazione alla giunta regionale nella quale abbiamo posto alcune domande che credo cruciali per la nostra Regione.

Come forse pochi hanno potuto rilevare, ma i lavoratori dell’ex Pignone e soprattutto dell’indotto sanno bene, l’azienda vive un momento di cambiamento legato a diversi fattori tra i quali sicuramente incide il prezzo del petrolio ma tanto riguarda la finanza e la gestione di General Electric. Quando una multinazionale così grande perde oltre il 50% del suo valore in borsa, significa che qualcosa non va e infatti il CEO di questo colosso ha disposto un piano di rilancio che passa anche dalla vendita di 20 miliardi di asset.

Tra questi, ad un certo punto, è stata messa anche la quota importante che General Electric ancora detiene in “Baker Hughes, a GE company”, cioè la principale azienda Oil & Gas del mondo che in Italia e in particolare in Toscana equivale alla nostra perla industriale: il Pignone.

Permettetemi un po’ di racconto storico, perché credo fondamentale che tutti i toscani abbiano cognizione di ciò di cui stiamo parlando.

ORGOGLIO ITALIANO E TOSCANO
La storia della più grande industria toscana, il Pignone, parte dal lontano 1842 quando quattro toscani crearono la “Fonderia di ferro di seconda fusione fuori la porta San Frediano”, dieci anni dopo divenuta “Fonderia del Pignone” (poi “Società anonima Fonderia del Pignone”) prendendo in prestito la denominazione del borgo che si trovava al tempo sulla riva sinistra dell’Arno.

Con la prima guerra mondiale l’attività della Pignone iniziò ad arricchirsi anche della produzione di compressori, motori a olio pesante e macchine olearie, oltre a forniture militari. Un’espansione segnata nel 1929 dall’apertura nel quartiere Rifredi del nuovo stabilimento specializzato proprio in produzioni meccaniche poi divenuto la sede della società.

Terminata la seconda guerra mondiale, 1946, Pignone entrò a far parte del gruppo tessile Snia Viscosa, nel tentativo di riconvertirsi alla produzione di telai tessili. Ma l’operazione dette esiti negativi al punto da arrivare al momento storico del primo licenziamento del Pignone, datato 21 luglio 1953. Quando, tre mesi dopo, quella data l’azienda inviò le ulteriori 1.750 lettere di licenziamento che avrebbero decretato la fine del Pignone, gli operai reagirono con serrata, occupazione della fabbrica e mantenimento attivo della produzione.

Questa reazione stimolò la cittadinanza di Firenze ad una risposta popolare di solidarietà realizzata intorno allo slogan “Salviamo la Pignone” che secondo studi recenti riunì più di 12 mila persone che si mobilitarono per sostenere la protesta, guidati dall’allora sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, e dal Presidente della Provincia, Mario Fabiani.

I rappresentanti istituzionali, insieme ai sindacati, avviarono una trattativa col Governo nazionale dalla quale emerse la proposta di utilizzare i prodotti della Pignone per le attività di estrazione petrolifera. Una proposta raccolta poi dall’ENI allora guidata da Enrico Mattei, nel 1954, che dette vita alla Nuova Pignone.

Mattei, tramite la Nuovo Pignone, voleva rendere l’ENI autosufficiente nei confronti dei fornitori internazionali di macchinari per il ciclo di estrazione e lavorazione degli idrocarburi. Questo scopo portò l’azienda ad acquisire licenze e brevetti da varie aziende come Dresser, GE e Grove e Siemens. E proprio sfruttando la licenza per le turbine General Electric, nel 1961, riuscirà a produrre impianti di turbocompressione.

Il mix d’offerta della Nuovo Pignone ha portato questa realtà ad un’espansione di sedi e stabilimenti, anche all’estero, processo questo che per la Toscana ha significato l’apertura e il consolidamento dello stabilimento di Massa.

GOVERNO VENDE, COMPRA GENERAL ELECTRIC (USA)
Quando nel 1992 il governo Amato avvia le privatizzazioni, include la Nuovo Pignone in questo percorso come componente non “core” di ENI. In quel momento l’azienda era fabbrica molto qualificata, con tecnologia di proprietà su compressori centrifughi e produzione diversificata: dai compressori alternativi alle turbine a vapore fino alle turbine a gas. Anche per questa sua natura efficiente e strategica secondo alcuni commentatori Pignone non andava privatizzata, ma la scelta di includerla nel piano fu legata a motivazioni politiche anche collegate all’evitare quel destino alla Italgas di Napoli.

I sindacati reagirono negativamente alla privatizzazione tramite assemblee e consigli di fabbrica, riuscendo a mobilitare per la seconda volta la cittadinanza di Firenze, e ad aggiungervi anche quella di proveniente dagli altri territori segnati dalla scelta, in una simbolica marcia su Piazza della Signoria del 15 ottobre 1993.

Al termine di un lungo periodo di trattative, il 23 maggio 1994, la Nuovo Pignone venne così acquistata dalla multinazionale americana General Electric che un anno dopo conserva i 4525 dipendenti. Dopo un primo periodo di integrazione lenta, Nuovo Pignone parte del gruppo GE inizia ad espandersi nel settore oil & gas con ruolo da protagonista, avvalorata dalla scelta del gruppo di mutare la sua organizzazione in tre comparti dei quali, proprio quello Oil & Gas era rappresentato dall’azienda con quartier generale a Firenze (HQ internazionale per Turbomachinery Solutions).

Il fatturato di GE Oil & GAS nel 2013 superava i 4,6 miliardi di euro e la divisione detiene in Italia il 90% delle produzioni di macchinari per l’estrazione del petrolio e del gas.

Soli tre anni dopo, complice il calo del prezzo del petrolio, GE annuncia la fusione con Baker Hughes – colosso da 20 miliardi di dollari sempre nel settore Oil & Gas – dopo che l’antitrust americana aveva evitato un’operazione analoga tra questa e Halliburton. La fusione si traduce nella creazione di “Baker Hughes, a GE company” (BHGE). Grazie alla fusione, conclusa nel luglio 2017, la nuova società presenta un’offerta completa in campo Oil & GAS, dalla produzione delle turbine alla preparazione del campo di ricerca, fino ai servizi logistici e di manutenzione connessi al settore.

Il colosso è pronto, unico al mondo per offerta integrata, e il futuro sembra roseo e segnato. Il capitale è degli americani e del “mercato” (la società è quotata in borsa), il know how – brevetti … – è in cassaforte italiana perché vincolato con accordo 2015 alla controllata Nuovo Pignone Tecnologie srl, gli stabilimenti toscani danno lavoro a circa 4600 dipendenti BHGE e 1600 persone impiegate nell’indotto, tutto sembra andare. Invece …

E ADESSO? INTANTO LICENZIAMENTI NELL’INDOTTO
A pochi mesi da quella fusione il CEO di General Electric annuncia il suo piano dove la partecipazione in BHGE è messa in discussione. General Electric quindi potrebbe vendere la sua quota (ha il 62,5% quindi se volesse andarsene completamente dovrebbe trovare qualcuno con circa 7 miliardi di euro per comprarle). Intanto l’azienda BHGE inzia a ridurre le spese.

Lato lavorativo interno vige un accordo sindacale in scadenza a settembre che tutela l’occupazione, quindi lì si taglia poco. Ma l’azienda vive da anni grazie a lavoratori in staff leasing, interinali e altre formule. Più c’è l’indotto di servizio con i relativi lavoratori. E lì la politica di riduzione dei costi si sente subito: alla richiesta di ridurre del 20% il prezzo delle forniture le aziende dell’indotto (Livorno, polo logistico, Massa e meno Firenze) iniziano a reagire riducendo i lavoratori e/o le ore lavoro.

Già da un anno circa il 40% dei lavoratori delle aziende che lavorano per BHGE è rimasto a casa per alcuni periodi coperti dagli ammortizzatori sociali o in ferie forzate;

A metà febbraio 2018, la Logistics & Painting (gruppo B-cube) ha mostrato segni di grave sofferenza tanto da avviare procedure di licenziamenti collettivi, poi ritirati a seguito di proteste sindacali ed irregolarità formali, ma che potrebbero ripetersi.

A distanza di pochissimi giorni, anche nell’area del Nuovo Pignone di Avenza, cento lavoratori della TC srl – azienda dell’indotto – hanno protestato per i ritardi di mesi nel pagamento degli stipendi e delle tredicesime, considerando oltretutto che la maggior parte di questi lavoratori sono stranieri assunti a tempo determinato.

Proprio ieri a Massa 52 lavoratori di una ditta subappaltatrice di un’azienda (B-Cube) fornitrice di BHGE hanno fatto 8 ore di sciopero e protesta pubblica perché hanno ricevuto dall’azienda l’annuncio del licenziamento dal 31 luglio. Considerato che nel polo Massa-Avenza BHGE usufruisce di circa 800 lavoratori dell’indotto su 350 dipendenti dell’azienda, la situazione è molto seria e allarmante. Soprattutto perché il Pignone è la realtà industriale più forte di un’area economicamente depressa, la Provincia di Massa Carrara, che ha tassi di occupazione pari alla Basilicata, di molto sotto la media toscana.

POLITICA SI SVEGLI E ANALIZZI QUANTO STA SUCCEDENDO
Questa situazione potrebbe trovare sbocco solo da un’inversione di tendenza del piano di riduzione delle spese di BHGE, azienda che assicura da sola quasi un punto del PIL toscano.

Il Pignone è un orgoglio italiano e toscano e la politica ha il compito di svegliarsi, analizzare quanto sta succedendo e prendersi la responsabilità di governare la situazione.

E qui arriva la questione delle domande al Presidente della Regione.

Come accennato prima infatti, Rossi ha firmato insieme al Ministro Calenda un accordo di programma col gruppo Pignone, quindi con gli americani, legato a “Progetto Galileo”. Parliamo di uno dei più grandi investimenti dello Stato italiano in un’azienda privata dal dopoguerra in poi: 600 milioni di dollari nell’oil & gas di cui 400 milioni saranno messe a disposizione da GE e 200 milioni dalle istituzioni pubbliche (Regione Toscana e Governo italiano).

Il “Progetto Galileo” sulla carta prevede lo sviluppo di progetti di ricerca in tecnologie, in particolare, tra cui la realizzazione in Toscana di un Centro di Eccellenza di valenza mondiale per lo sviluppo di prodotti strategici quali turbine a gas e compressori centrifughi di nuova generazione funzionali alla strategia di crescita della divisione Turbomachinery Solutions, il cui cuore del business Oil&Gas di General Electric sarà a Firenze. Parliamo di qualcosa di molto rilevante e importante cui è stato aggiunto a gennaio 2018 anche un “addendum” con l’obbiettivo di finanziare due dei cinque sotto progetti del Progetto Galileo per un investimento di 65 milioni di euro di cui 20,8 milioni di risorse pubbliche.

Il Presidente Rossi e il Ministro Calenda hanno firmato questo addendum senza coinvolgere le rappresentanze sindacali, aspetto curioso visto che questa appendice all’accordo impegna l’azienda ad assumere 60 dipendenti a tempo indeterminato sul territorio regionale entro giugno 2022 e a garantire, nello stesso periodo, 8 milioni di euro di commesse o forniture alle imprese toscane (senza specificare dove).

Chiaro che un progetto molto legato all’automazione come il Progetto Galileo, dove l’impatto occupazionale è di 60 persone, realizzato mentre sta succedendo tutto questo e mentre hanno già iniziato a rimanere a casa centinaia di lavoratori dell’indotto deve essere spiegato dal Presidente Rossi.

Per questo abbiamo chiesto

  • se è a conoscenza e quale valutazione dia della grave situazione occupazionale che si sta generando in Toscana, in particolare, per i lavoratori dell’indotto BHGE nelle zone di Firenze, Massa – Carrara e Livorno
  • Quante siano le risorse regionali e statali già trasferite all’azienda BHGE e perché la contrattazione tra BHGE, Regione Toscana e Ministero dello Sviluppo Economico sul Progetto Galileo non abbia incluso un passaggio con le rappresentanze sindacali
  • se, visti i corposi investimenti pubblici, abbia richiesto all’azienda delucidazioni sulle cause della crescente crisi delle aziende dell’indotto di GE e sulle sue politiche industriali di medio-lungo periodo
  • se ha notizia di possibili investimenti di Ricerca e Sviluppo aziendale sul campo delle energie rinnovabili visti i trend internazionali relativi all’Oil&Gas
  • quali iniziative, nell’ambito delle proprie attribuzioni, la Regione Toscana intenda assumere per prevenire una crisi occupazionale e sociale relativa a BHGE, i cui riflessi sarebbero pagati in prima istanza da imprese e lavoratori dell’indotto

La politica torni alla sua vocazione più nobile: creiamo le condizioni per ricomporre queste crisi delle società satellite dell’indotto e prevenire in ogni modo scenari che potrebbero portare alla terza riproposizione di quello slogan che di cuore ci auguriamo di dover tenere nel libro dei ricordi: “Salviamo la Pignone”.

MAFIA TIENE IN SCACCO LA TOSCANA, ECCO COME

Oggi abbiamo parlato di quanto la mafia incida direttamente e indirettamente sulla vita dei cittadini toscani, minandone il diritto a sicurezza e decoro, sulle imprese oneste, inquinando e deviando l’economia, sulle stesse istituzioni e la pubblica amministrazione, entrando in appalti e generando costi sociali, umani ed economici poi sostenuti da regione, comuni e Stato.

Trovate la prima parte del video qui e la seconda qui.

Come annunciato faremo una mozione affinché il Presidente della Regione vada in conferenza Stato Regioni e chieda un migliaio di agenti in più per le strade della Toscana e più ispettori del lavoro.

CI SONO MARGINI PER COMMISSARIARE ATO TOSCANA SUD RIFIUTI

Ho presentato un’interrogazione urgente alla giunta regionale sulla situazione di ATO Toscana Sud rifiuti, ovvero l’ambito che oggi serve i cittadini delle Province di Arezzo Siena e Grosseto (oltre ad alcuni comuni vicini).

Credo ci siano i margini per la Regione di esercitare i poteri sostitutivi nei confronti di questo ente consorziato tra comuni – a trazione PD, centrodestra – per la sua evidente inerzia nel non rilevare tutta una serie di violazioni del contratto di servizio che il gestore unico Sei Toscana ha realizzato finora.

Voglio capire con questo atto se il Presidente della Regione intende quindi commissariare ATO Toscana Sud rifiuti e se ritiene rilevante verificare se siano state presentate e rinnovate dal gestore unico le garanzie fideiussorie all’autorità competente.

L’ho fatto anche perché l’ultima iniziativa del Movimento 5 Stelle per arrivare al risultato di far rispettare la legge anche in materia di gestione rifiuti nell’ATO Toscana Sud è stata bocciata dal Consiglio comunale di Grosseto, attore importante dell’ente, proprio ieri. Un voto in continuità col passato dato che ATO Toscana Sud ha già mostrato chiaramente la sua volontà di non rivedere il suo rapporto col gestore unico Sei Toscana srl.

E di seguito vi spiego su quali basi riteniamo questa una scelta di malgoverno inaccettabile.

Il 27/03/2013 Ato Rifiuti Toscana Sud ha sottoscritto con Sei Toscana S.C.A.R.L. (oggi Sei Toscana S.r.l.) il contratto per l’affidamento del servizio di gestione integrata di ambito. Questa sottoscrizione segue l’esito di una gara oggetto di un’inchiesta importante avviata dalla magistratura anche a seguito dell’azione del Movimento 5 Stelle nei territori dell’ambito.

Come abbiamo ripetuto più volte, e la magistratura ha rilevato, bastava esaminare il Bando di gara, con i documenti ad esso allegati, e il Contratto sottoscritto con SEI TOSCANA per verificare una serie di forti criticità che avrebbero legittimato l’annullamento, in via di autotutela, degli atti della procedura amministrativa.

Il bando di gara per l’affidamento del servizio conteneva ad esempio previsioni tali da ingenerare un notevole disincentivo alla partecipazione per gli operatori del settore pregiudicando così radicalmente le finalità proprie di una gara pubblica. Ne è riprova il fatto che, diversamente da quanto enunciato nella delibera n.2 dell’ATO dove si parla di “offerte pervenute” per la gara, quella del raggruppamento poi risultato vincitore risulta essere stata l’unica offerta presentata.

Dal novembre 2016 la Procura di Firenze ha reso pubblica l’inchiesta Clean City proprio su gara e contratto ventennale per la gestione integrata dei rifiuti, ipotizzando reati quali turbativa d’asta e corruzione, in forza dei quali sono state disposte misure cautelari nei confronti dei vertici di ATO Sud – ente che aveva indetto la gara – e SEI Toscana SRL, cioè chi l’ha vinta da unico partecipante.

Il 3 febbraio 2017 l’Autorità Garante Anticorruzione (ANAC), sulla scorta dei citati atti di indagine, ha inoltrato al Prefetto di Siena una proposta di straordinaria e temporanea gestione della Servizi Ecologici Integrati SEI Toscana s.r.l., cioè la misura più grave tra quelle previste dalla legge in questi casi. E il Prefetto della provincia di Siena ha già disposto due proroghe di questo commissariamento, l’ultima proprio un mese fa che lo indica concluso ipoteticamente il 31 luglio prossimo.

Ricordo giusto alcuni passaggi cruciali di questi atti ufficiali prodotti da magistratura e ANAC:

  • la società mandataria del RTI (Siena Ambiente) gestisce gli impianti inclusi nel sistema di gestione integrata, sulla scorta di convenzioni stipulate in corso di gara
  • l’ordinanza di applicazione di misure cautelari ha ricostruito con assoluta chiarezza un sistema illecito, volto a favorire il Raggruppamento risultato aggiudicatario, attraverso accordi collusivi e illecite commistioni tra controllori e controllati
  • le attività investigative disposte dall’Autorità giudiziaria hanno evidenziato una procedura “cucita su misura” dell’impresa aggiudicataria, attraverso l’inserimento di clausole ed oneri dissuasivi nei confronti degli eventuali concorrenti. Tra questi, merita una specifica menzione la decisione di escludere dalla gara gli impianti di smaltimento dei rifiuti e di imporre all’aggiudicatario di stipulare appositi contratti con i proprietari/gestori già in regime di convenzione con l’ATO.

NO INVESTIMENTI E ALTRE VIOLAZIONI = RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
Nei decreti di proroga del commissariamento il Prefetto riporta anche l’attuale impossibilità per SEI Toscana SRL di realizzare gli investimenti previsti nel contratto a causa delle vicende societarie che hanno riguardato i soci privati industriali (Castelnuovese e Unieco). E sempre in quei decreti sono citate anche gravi violazioni da parte di SEI Toscana SRL di espressi divieti contenuti nel contratto di servizio quali: la costituzione da parte di uno dei soci industriali, COOPLAT Soc. Coop., di pegni di rilevante importo in favore di terzi estranei alla compagine societaria di SEI Toscana SRL e l’avvalersi, da parte di quest’ultima, di soggetti terzi per l’esecuzione del contratto/servizio mediante procedure di affidamento diretto, che da sola, contratto di servizio alla mano, dovrebbe comportare “l’immediata e automatica risoluzione del contratto”.

Tutto questo fa dire a chiunque abbia le mani libere, e l’interesse dei cittadini come sola stella polare, che ATO Toscana Sud debba tutelarsi risolvendo il rapporto con Sei Toscana srl.

Sappiamo dal bilancio consolidato 2016 di questa azienda che la sua posizione finanziaria netta è negativa per 17,5 milioni di euro. Ma anche in questo caso le istituzioni dovrebbero tutelare prima l’interesse collettivo e dopo qualsiasi altra forma di interesse.

Aspettiamo quindi di capire dal Presidente della Regione se vuole esercitare il potere che la legge gli assegna: commissariare quegli enti che dovrebbero tutelare i cittadini e non lo fanno. Questo sempre nell’idea che la Regione sappia e voglia assumersi questa responsabilità di buon governo.

Di certo parleremo di tutta questa storia dentro la Commissione d’inchiesta regionale sul sistema di gestione dei rifiuti toscano che qualcuno ha cercato di rallentare ma, pare, da domani inizierà davvero il suo percorso.